lunedì 7 luglio 2008

Il ricordo di Londra 3 anni dopo

Di sicuro il 7 luglio 2005 è stato il giorno più lungo della city e ei suoi abitanti. Da sempre Londra è una città contrassegnata da forza e opulenza.

La capitale inglese attualmente conta 7,3 milioni di abitanti, pari alla somma della popolazione di: Roma, Parigi, Bruxelles e Vienna. Ben il 7,5 per cento di questi sono nati al di fuori dell’isola o immigrati. In quest’ottica un groviglio di interrogativi ci si pone da dipanare dopo che quattro ragazzi con passaporto british hanno seminato morte e terrore con gli attentati del 7 luglio 2005.


Il capobanda Mohamed Silique Khan era un maestro per bambini disabili. Shehzad Tanweer che si è fatto saltare sulla Circle Line era “orgoglioso di essere britannico”, giocava e cricket e il padre si guadagnava da vivere in Inghilterra vendendo fish and chips. Hasib Mir Hussain - appena 18 anni – viene ricordato dai suoi compagni di classe come simpatico e gioviale. Germane Lindsay, giamaicano convertito all’Islam, era un padre e marito affettuoso.

Eppure. È l’ora di punta nel brulicante tube quando i kamikaze entrano in azione. Sono le 8.49 e una bomba esplode nella metropolitana alla stazione di Aldgate. Solo qualche minuto dopo la sequenza del terrore continua ad Edgware road e di seguito a King's cross. Un'ora dopo, un bus a due piani salta in aria a Russel Square.

All’inizio le autorità si tengono caute, parlano di guasto e poi di incidente: “accident” è la scritta in bianco su sfondo rosso della Bbc. Le strade sono invase da persone che cautamente e dignitosamente silenti attraversano la città a piedi cercando di tornare a casa e di avvisare casa anche solo per dire: “stiamo bene”.



Questo il 5 luglio del mondo, ma lì vicino a quelle stazione della metro c'ero anch'io.
Erano 20 mila gli italiani a Londra quel luglio 2005. I miei amici ed io eravamo atterrati 7 giorni prima all’aeroporto di Stansted scanzonati come non mai. Accolti dalla caratteristica pioggerellina di una città di cui conoscevamo il Big Ben visto in foto e il film Notthing hill, la city. Sistemati i bagagli nella casa con il pavimento di moquette e le mura bianche che ci avrebbe ospitato, ci siamo diretti alla stazione più vicina con l’obiettivo di comprare l’abbonamento per la metropolitana. A disposizione tutta la zona 1 della città per una settimana, scadenza: 7 luglio 2005.

C’è stato tempo per i muffin allo Starbuck’s coffe, per l’english breakfast a Notting Hill, per Hyde Parke e il suo Live 8, fino al London Eye. Su nel cielo a 135 metri su di una ruota panoramica che sovrasta Londra, a vederla tutta questa città così bella che ti ha conquistato in così poco. Impossibile resistere all’impulso di immortalare come puoi quello che vedi, quello che senti in quel bossolo di vetro dove il tempo si ferma e lo spazio è uno solo soltanto: Londra. Vorresti ricordare tutto per sempre, vorresti che attraverso ciò che puoi ricordare gli altri vivessero e rivivessero quegli attimi senza perdere il benché minimo dettaglio. Proprio nello scattare decine di foto accade l’imprevisto. Simone, uno dei miei compagni di avventura, sente un dolore lancinante al ginocchio alzandosi dall’ultimo scatto con la macchina fotografica. La diagnosi: rottura del menisco. Non sapevamo ancora che fosse questo quello che lo faceva star male, sapevamo solo che l’ultimo giorno di abbonamento alla metropolitana non l’avremmo sfruttato. Non sapevamo che ci avrebbe salvato la vita.

Il mio 7 luglio è iniziato così, con il fresco inglese e un’abbondante colazione italiana. Ignara di quello che a un soffio da me stava succedendo rispondo al telefono, dall’altra parte si accertano del fatto che siamo a “casa” e mi parlano di guasto, di incidente. Il resto della mattina è stato tra brividi di freddo e la piccola televisione che mandava e rimandava le immagini di questo guasto-incidente e solo poi attentato. Ci sono tratti di quella giornata che non riesco a ricordare, che forse non voglio ricordare. La sensazione era quella di stare in un’immensa bolla che ci separava dal resto in maniera impercettibile ma poteva scoppiare da un momento all’altro.

Ci sono parole inglesi che sono scolpite in calce nella mia memoria e che non potrò mai dimenticare: missing, bomb, allert…
Incapaci di tutto e salvi con l’insicurezza che bussava sempre più alla porta, si affacciava sul vialetto, si attaccava alle mura tinte di fresco della laundry di fronte casa. “Ministero degli esteri: se siete a Londra contattate parenti e amici” questo è fra i tanti sms arrivati sui nostri telefoni cellulari ore dopo l’attentato, quando la situazione delle linee telefoniche si è sbloccata. Messaggi a cui rispondevamo ma senza la certezza di dare sollievo in Italia perché le comunicazioni erano rarefatte e difficili.

La televisione e la radio erano sempre accese, erano gli unici due mezzi che avevamo a disposizione per sapere qualcosa dall’esterno ma senza averci a che fare. La televisione paradossalmente con le sue immagini inquietanti ci aiutava di più, quello che volevamo era capire. Perché non avevamo mai visto una convivenza così pacifica tra culture diverse che si rispettano e stanno attente a non invadere i rispettivi spazi. L’immagine che mi è rimasta più impressa è quella di un centro commerciale e della sua lunga fila di casse e cassiere: una ragazza di colore con le treccine, una biondina tipicamente inglese, una ragazza asiatica, un’altra con il velo a coprirle i capelli.

Continuavamo a sentire le sirene, ed erano polizia, ambulanze, pompieri. Continuavano a suonare, giorno e notte, dandoci un senso di smarrimento, ma eravamo decisi a vincere il timore di uscir di casa e poi a Simone servivano medicine e stampelle. Due giorni dopo ci siamo fatte forza e Noemi ed io abbiamo varcato il portone di “casa”. Tutto sembrava essere immutato, addirittura un pallido sole faceva capolino fra le nuvole. La normalità era quasi assordante. Le persone come sempre al Salinsbury a fare la spesa, cordiali e irremovibili come sempre. Gli inglesi avevano subito l’attacco ma non intendevano darla vinta agli attentatori, 700 persone coinvolte e 53 morti, ma il giorno dopo, loro, erano di nuovo in piedi.