giovedì 31 gennaio 2013

Una metafora su Napoli

Una mia amica ha scritto un post su Napoli. La paragona a un fidanzato che si ama pazzamente ma con cui non si potrà mai essere felici. La trovo una metafora azzeccata. Questo è il suo post. E il mio commento è stato questo:

Napoli è molte cose insieme. A volte vorrei che fosse una città come le altre ma se fosse così tutto sarebbe irrimediabilmente più semplice e ce ne andremmo senza rimpianti da una stazione qualsiasi di giorni che poi non ricordi. Invece andare via da Napoli ci strazia perché le sue luci ed ombre sono anche le nostre e noi le assomigliamo più di quanto crediamo. E più andiamo lontano più i suoi tratti si incancreniscono in noi stessi.
Non ho ancora deciso se ci vuole più coraggio ad andarsene o a restare. Vero è che è una lotta dura che ti impegna tutto il giorno di tutti i giorni che hai da vivere. La tua vita vuoi impiegarla a combattere una battaglia che non ha molte occasioni di essere essenziale per la guerra? Io amo Napoli, non lo so se ci ritornerò, carezzo il sogno di viverci ancora e di vederla migliorare. Schiarita delle sue ombre accecante come non mai nella luce che emana. Ci vuole un cambio totale di paradigma, nelle Istituzioni, nelle persone. Delle persone che ci vivono e di quelle che pensano di conoscerla solo attraverso gli stereotipi che la rappresentano. Deve cambiare tutto dalle piccole alle grandi cose. Come una fenice che risorge dalle sue ceneri, se stessa sì ma nuova.

lunedì 28 gennaio 2013

Quella volta che ho lasciato un lavoro

Ho iniziato a lavorare quando ero all'Università, anche prima quando ero alle superiori, e prima ancora. Fra i lavori che ho fatto posso annoverare i pupazzi di palloncini alle fiere e ho sempre cercato di guadagnarmi qualcosa ed essere un po' indipendente. Al termine di giornate ricche e impegnative io mi sento meglio. Sento di aver speso bene il mio tempo e le energie. Quindi quando si parla di lavoro mi ritengo fortunata semplicemente perché ne ho uno e allo stesso tempo appartengo ad una generazione marchiata dalla mancanza di lavoro, senza certezze. Una generazione per cui i riti di passaggio della vita non sono scontati. 

Mi è tornato in mente un lavoro in particolare in questi giorni. Un lavoro che ho lasciato dopo neanche una settimana. Apparentemente aveva tutte le caratteristiche per essere un buon impiego, in un posto di prestigio, nella mia città, nel mio campo. Eppure. Talvolta le scarpe ci stanno strette anche se sono del nostro numero.

Foto mia http://www.flickr.com/photos/marsans/8022901655/
Quell'ufficio mi stava stretto, le poltrone in pelle erano scomode, il pranzo sulle scale al sole non era piacevole. C'era qualcosa in quel posto che mi ha resa subito claustrofobica. Tanto che dopo tre giorni ho chiamato il supermegadirettore generale per dirgli che non avrei continuato. Lui è cascato dalle nuvole, io ho sentito un enorme peso che si sollevava dalle mie spalle. Forse non era il momento giusto, non era la mia strada e non dovevo percorrerla nemmeno per un pezzetto. Rimane insindacabilmente nella mia memoria la metafora dei lavori che è meglio lasciar perdere.