L’attore protagonista è lo straordinario Toni Servillo, di cui si riconoscono a stento gli occhi sotto la trasformazione operata per renderlo Guilio Andreotti. Quasi tutto il tempo la telecamera è schiacciata su quei tratti riconoscibilissimi, e quanto più preme sul personaggio più lui rimane immobile, perennemente pacato, come se tutto gli scivolasse addosso come la lunga sequela di omicidi e di suicidi che la regia non lascia intendere ma mostra nella sua crudezza.
Il film inizia con un glossario: Brigate Rosse, Democrazia Cristiana, Loggia P2, Moro Aldo e ripercorre i fatti della storia italiana degli ultimi quarant’anni attraverso Andreotti che tiene le fila direttamente o indirettamente di tutto quello che nel paese accade. Accanto a lui Paolo Cirino Pomicino (interpretato da un convincente Carlo Buccirosso), Aldo Moro, Totò Riina, Giuseppe Ciarrapico, ma anche la moglie Livia e la storica segretaria Enea, due figure femminili chiave nella vita del vero statista.
Il ritratto di questo uomo politico è tratteggiato attraverso gesti metodici e reiterati, l’aspirina per il perenne mal di testa, i movimenti delle mani, i passi lenti, le battute ironiche. Solo sulla fine del film emerge l’uomo Andreotti, con un lungo monologo in cui – sconcertante per la figura curva che conosciamo – usa dei toni accesi. “Le reazioni incontrollate ci imbarazzano ma ci confortano perché ci ricordano che siamo umani” questa è la frase emblematica della figura di Andreotti tratteggiata da Sorrentino.
1 commento:
ne ho sentio parlare solo bene. Ieri ne ho visto qualche passaggio ad Annozero.
Complimenti per la tua recensione.
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